Nel museo, istituito agli inizi degli anni ’50, confluirono le raccolte del Museo Civico e del Museo Diocesano, a formare, per reciproca integrazione, un unico complesso, altamente rappresentativo dell’arte abruzzese e segnatamente valorizzato dal prestigio monumentale e dalle notevoli potenzialità offerte dalla nuova sede museale. Le opere, che comprendevano molti fra i più significativi documenti dell’arte regionale, dalle suggestive icone e sculture lignee medioevali, ai capolavori dell’età rinascimentale, quali la croce processionale del Duomo di L’Aquila, di Nicola da Guardiagrele e la scultura a tutto tondo del S. Sebastiano, di Silvestro dell’Aquila, furono ordinate nella teoria di ampie sale del primo piano del corpo di fabbrica orientale, corrispondente alla facciata. Successivamente furono allestite, nel secondo piano, una scelta serie di opere dal secolo XVI al secolo XVIII. Nel 1975 è pervenuto al museo, a titolo di deposito conservativo, il cospicuo lascito del Marchese Francesco Cappelli, qualificato da un notevole nucleo di dipinti di Mattia Preti. La sezione archeologica, pervenuta dal museo Civico, è stata allestita nel bastione di Sud-Est: il primo nucleo dell’attuale raccolta è frutto della donazione del fondo costituito, con opera appassionata, dal Principe Francesco Caracciolo, nel suo palazzo di Barisciano, verso la metà del secolo XVIII. Altri importanti reperti provengono dagli scavi ottocenteschi curati da Antonio De Nino e Nicolò Persichetti, soprattutto nell’area dell’antica Amiternum. Nel 1926 furono depositati nel Forte i reperti provenienti da Alba Fucens e da Guardia Vomano. Accanto al cosiddetto “Calendario Amiternino”, di eccezionale importanza, si pongono pezzi di notevole interesse: i rilievi con una “Cerimonia funebre” ed un “Ludo gladiatorio”, un cippo sepolcrale a forma di serpente ed una varia collezione di epigrafi a carattere celebrativo o funerario. Nel bastione di Nord-Est è stato ricostruito l’imponente reperto fossile rinvenuto nel 1954 presso Scoppito. Il Museo è stato oggetto, negli ultimi anni, di un generale e cospicuo intervento, inteso al restauro del patrimonio museale, alla revisione degli allestimenti ed al notevole potenziamento delle strutture museografiche, grazie alla realizzazione di nuovi impianti di illuminazione e di climatizzazione ed alla predisposizione di un valido apparato di sussidi e servizi didattici.
Castello
Un modello di fortezza cinquecentesca a confronto: il Castello dell’Aquila. L’instaurazione generalizzata del nuovo ordine ispano-imperiale, dopo la disfatta definitiva dell’armata francese del Lautrec e le trattative di pace tra Carlo V e Clemente VII, se fu fatale alle aspirazioni repubblicane dei fiorentini, in difesa delle quali Michelangelo prodigò inutilmente il suo genio di architetto militare, segnò anche il definitivo tramonto dell’antica autonomia dell’Aquila, città fino ad allora tra le più fiorenti del Regno di Napoli. Nel febbraio del 1529, mentre Michelangelo, chiamato a far parte dei “Nove della Milizia” intraprendeva a Firenze il lavoro di ammodernamento e rafforzamento delle mura, la città degli Abruzzi era occupata militarmente dai “lanzi” di Filiberto d’Orange, viceré e luogotenente generale del Regno di Napoli, venuto personalmente a castigarla per aver aperto, qualche mese prima, le porte ai francesi ed essersi in seguito ribellata alla guarnigione imperiale che la presidiava. La durissima repressione non aveva risparmiato i tesori delle chiese, fusi per il pagamento dell’esoso “taglione” imposto in riscatto del minacciato saccheggio, né gli antichi privilegi ed immunità del comune, il cui vasto contado era stato separato dalla città ed infeudato a capitani dell’esercito imperiale. La massiccia “castellina” bastionata fatta costruire dall’Orange nel punto più elevato della cinta muraria, “per tener con grosso presidio a freno i cittadini”1 era il simbolo tangibile ed opprimente della nuova condizione “di servitù”, che relegava ormai la città ad un ruolo economicamente dimesso e politicamente marginale. A durissime imposizioni si era dovuto sottostare senza alcuna possibilità di replica o resistenza, nel clima opprimente dell’occupazione militare, caratterizzato dalle continue minacce di saccheggio, dalle intimidazioni terroristiche a danno degli ostaggi, dagli squartamenti e dalle impiccagioni in piazza dei “sediziosi”. Quando, nell’agosto del 1530, il principe “odioso al nome degl’Aquilani”2 morì mentre assediava Firenze, colpito da un’archibugiata a Gavinana, si sparse la diceria che a tirare il colpo mortale fosse stato un fante aquilano che militava nelle truppe del Ferrucci.
Portato a compimento in pochi mesi – nel giugno del 1530 ospitava già un castellano ed una guarnigione – il fortilizio dell’Orange fu completamente distrutto pochi anni dopo, quando fu costruito al suo posto il formidabile Castello che si è conservato fino ad oggi.
Il Castello Spagnolo dell’Aquila è una delle realizzazioni più grandiose e meglio conservate dell’architettura militare moderna sul suolo italiano. Le vicende costruttive e gli stessi caratteri architettonici dell’immane fortezza costituiscono un’esemplare testimonianza storica degli anni turbolenti delle horribili guerre d’Italia, un’epoca di profonde e drammatiche trasformazioni, nell’assetto politico della penisola come nell’arte della guerra e delle fortificazioni: mentre una parte consistente del territorio italiano cadeva sotto il diretto dominio della Spagna, gli equilibri politici e sociali interni ai vari stati mutavano profondamente e si riducevano drasticamente i tradizionali spazi di autonomia delle città; mutamenti altrettanto significativi si verificavano nel campo della tecnologia bellica, col largo ed efficace impiego delle artiglierie da fuoco a palla metallica, per fronteggiare le quali l’architettura militare era costretta al superamento definitivo della secolare tipologia medievale delle fortificazioni.
ACCESSIBILITÀ
Ascensore a norma: sì
Audioguide: non presenti
Barriere architettoniche: non presenti
Servizi igienici per disabili: sì