Al confine tra le province di Parma e Piacenza, estremità occidentale della pianura emiliana, si apre il Parco fluviale Regione dello Stirone. Il corso del torrente Stirone interessa l’area del Parco per una lunghezza di circa 14 km, a partire dall’abitato di Fidenza. Nel corso del tempo il torrente ha inciso profondamente la sua piana alluvionale, portando alla luce moltissimi fossili risalenti a epoche geologiche diverse; attraverso di essi è possibile ricostruire la storia dell’uomo che fin dai tempi più antichi abitava queste zone per la sua importanza scientifica e didattica. Il tratto fluviale tra S. Nicomede e Laurano é stato definito, già dagli anni ’70, Museo all’aperto.
La vegetazione varia a seconda della posizione più o meno ravvicinata al corso d’acqua, in relazione quindi alla composizione del suolo, alla sua stabilità e ai vari gradi di permeabilità. Le piante che crescono sul greto del torrente sono le più tenaci e quelle che con maggiore facilità sanno adattarsi a situazioni estreme, grazie anche al fatto che sono in grado di svolgere rapidamente il loro ciclo riproduttivo. Nella fascia immediatamente successiva, periodicamente allagata dall’acqua, crescono splendidi salici. Oltre la zona dei salici arbustivi crescono i primi alberi, che formano rigogliosi e intricati boschetti di specie igrofile, cioè amanti dell’umidità, come salice bianco, pioppo bianco e pioppo nero. Poi cominciano i querceti mesofili e xerofili, a seconda della temperatura più o meno fresca. Nel sottobosco delle zone più aride si incontrano il raro dente di cane, il dittamo, detto limonella per l’odore tipico che emana, e le orchidee.
Al limite meridionale del Parco, nella Valle dello Stirone, si erge la punta rocciosa di Pietra nera; si tratta di un’ofiolite: questo nome, derivante dal greco ofios che vuol dire serpente, richiama l’aspetto variegato e la colorazione verde-nera di questo tipo di rocce, che ricordano la livrea dei serpenti. Questa affascinante pietra costituisce la testimonianza delle piú remote vicende geologiche dell’Appennino.
Tra i mammiferi sono molto diffusi la lepre e il riccio; non è difficile scorgere poi le tane del tasso o imbattersi nelle impronte della faina e della volpe. Sulle ripide scarpate create dall’attività erosiva del torrente nel periodo di maggio si può avvistare il gruccione, un uccello dal piumaggio vivace, variopinto di rosso, giallo, verde e azzurro; chiamato così per la sua andatura goffa, come se si appoggiasse a delle grucce, nidifica nel Parco in grandi colonie. Tutto l’anno si trova, invece, il martin pescatore. Abitato fin da tempi antichissimi, il territorio fu sfruttato dai romani per la ricchezza di saline. Furono, però, i Farnese ad apportare significativi ammodernamenti agli impianti di estrazione del sale, introducendo anche il “pozzo della ruota”: una ruota a scalini mossa dai galeotti, costretti a camminarvi sopra, al cui asse erano collegate funi che issavano e immergevano secchi nel pozzo.