giovedì , Settembre 28 2023

Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano

Parco Nazionale dell'Appennino Tosco EmilianoTra le più “giovani” aree protette italiane, questo Parco nazionale si sviluppa per tre quarti in Emilia Romagna e per un quarto sul territorio toscano. Nato dalla fusione di preesistenti aree protette, il Parco riunisce realtà territoriali diverse come l’Alto Appennino Reggiano (Parco del Gigante), l’Alta Val Parma e Cedra (Parco dei Cento Laghi), la Pietra di Bismantova citata da Dante e i gessi triassici della Valle del Secchia. Sul versante toscano, invece, il Parco comprende la Garfagnana e la Lunigiana che vantano alcune fra le cime più alte della dorsale appenninica settentrionale (Monte Prado 2054 m slm).

Di antichissima origine geologica il parco vanta una straordinaria ricchezza di ambienti: boschi e praterie, valli e creste si alternano con diverso ritmo sull’un o sull’altro versante, più dolce quello emiliano e più aspro toscano prossimo alle Apuane.

La storia geologica di questa parte di Appennino ha profondamente influenzato la flora. Gli ambienti d’alta quota, infatti, sono diventati il rifugio di veri e propri relitti glaciali (erica baccifera, pennacchio rotondo, tricoforo alpino) per i quali le cime del parco rappresentano il limite meridionale di distribuzione nel nostro Paese.

Scendendo alle quote più basse si incontra la fascia delle brughiere a mirtillo che sul versante toscano sono intervallate da estese praterie di graminacee punteggiate da garofani, genziane e primule. Al di sotto dei 1000 m di quota il paesaggio è dominato dalle fitte faggete dove è facile scorgere le tracce della presenza umana che per secoli ha sfruttato questi boschi. Sporadicamente si possono incontrare stazioni relitte di abete rosso, abete bianco e tasso mentre quando si raggiunge la fascia collinare fanno la loro comparsa i castagni e le latifoglie dei querceti. Roverelle e cerri si mescolano a carpino nero, orniello, acero campestre, nocciolo e biancospino permettendo lo sviluppo di un fitto sottobosco dove in primavera spiccano i delicati fiori di primule, viole e denti di cane.

L’altitudine media elevata e le glaciazioni subite nel corso dei secoli hanno determinato importanti ripercussioni anche sulla fauna che oggi annovera alcuni relitti glaciali quali l’arvicola delle nevi, tipica delle praterie primarie dei crinali, la rana temporaria e il tritone alpestre. Le reintroduzioni di capriolo, cervo, cinghiale, e muflone nel corso degli anni ’60 e ’70 mista alla scarsità degli insediamenti umani ha permesso il ritorno sul territorio del più celebre predatore dell’Appennino: il lupo. Altra specie simbolo del parco è l’aquila reale tornata a nidificare in tempi recenti.

Nei boschi si aggirano predatori più comuni, ma difficili da incontrare per il loro comportamento notturno, come volpi, puzzole, faine e donnole che tengono sotto controllo le popolazioni dei micromammiferi (arvicola rossastra, topo selvatico e ghiro).

Numerose sono, infine, le specie di uccelli nidificanti, sedentarie e migratrici. I valichi di crinale sono infatti vie di transito per rapaci, ciconiformi, colombacci e tordi. Nelle faggete, invece, nidificano merlo, codibugnolo, capinera, rampichino, picchio rosso e verde mentre in zone aperte con siepi e alberi da frutto è presente il torcicollo.

I boschi ricchi di radure costituiscono, infine, l’habitat ideale per l’averla, la tottavilla e per rapaci comuni come la poiana e il gheppio o più rari come il falco pellegrino, che però tende a nidificare sulle pareti rocciose.

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